Marta DI GIACOMO
CV
Nel 2023 ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze storiche presso l’Università “Federico II” di Napoli con votazione 110/110 con lode, presentando una tesi in Storia dei movimenti e dei partiti politici dal titolo “Gli anni della lotta armata in Italia: radici, evoluzione e crisi delle organizzazioni armate di sinistra”.
Ha collaborato all’attività di didattica e di ricerca della cattedra di Storia politica dell’età contemporanea nel corso dell’anno accademico 2023/2024 sotto la supervisione del docente Luigi Musella. In questa cornice ha organizzato due seminari – il 21 e il 22 novembre 2023 – con l’obiettivo di restituire i risultati scientifici della sua ricerca di tesi magistrale.
Tra il 2023 e il 2024 ha partecipato in qualità di moderatrice e relatrice alla presentazione di alcuni libri di divulgazione storica: “Le Quattro Giornate di Napoli (quasi un diario)” di Ciro Raia, “Crisi globali e affari di piombo: politica e industrie italiane nel mercato internazionale delle armi da guerra” di Futura D’Aprile, “Lenin, il rivoluzionario assoluto” di Guido Carpi e “Lenin, una biografia intellettuale (1870-1924)” di Tamas Krausz.
Tutor
Luca Polese Remaggi
Università di Salerno
Progetto di ricerca
Il ruolo della violenza nel rapporto tra potere e movimento dagli anni Novanta ad oggi: il caso italiano
La riflessione sulla violenza ha animato il dibattito tra Ottocento e Novecento, producendo importanti teorie filosofiche e sociologiche che l’hanno posta al centro dei cambiamenti storici e della ridefinizione dei rapporti sociali. Secondo una certa tradizione di pensiero – che riunisce teorici diversi come Hobbes, Weber, Marx ed Hegel tra gli altri – il progredire umano non è neutro né naturale, bensì determinato da uno scontro, che sia esso materiale o astratto. Tale impostazione dialettica restituisce alla violenza un ruolo centrale nella Storia: non è più forza cieca e brutale, ma potenza distruttiva e costruttiva allo stesso tempo. Una visione che sgombra il campo dall’idea della società moderna come completamente pacificata, in cui la violenza corrisponde esclusivamente ad una forma di devianza. Già nel Leviatano Hobbes osserva come, nel momento in cui viene stipulato il contratto sociale alla base della nascita dello Stato, la forza non scompaia, ma venga ricondotta al legittimo esercizio di una sola parte che la utilizza per difendere il proprio diritto a governare sull’altra. È attraverso una delicata operazione retorica che la forza, diventata norma sociale, viene chiamata ‘violenza’ solo quando è adoperata da una parte sociale che non ne detiene il monopolio. Ma è proprio la continua tensione tra parti diverse che determina i rapporti interni ad una società e la loro alterazione tramite la sottrazione del monopolio della forza può essere causa di cambiamenti politici, sociali ed economici lievi o radicali. L’obiettivo di questo progetto di ricerca è ricostruire la cornice teorica entro cui analizzare la violenza come categoria interpretativa del progredire umano, al fine di studiare la trasformazione del suo utilizzo nel rapporto tra le parti sociali. In particolare si è scelto di studiare le forme di conflittualità tra potere e movimento in Italia dagli anni Novanta ai primi vent’anni del duemila, indagando come queste due espressioni della vita politica si confrontino e si scontrino. Si intende, dunque, ricostruire la storia dei movimenti sociali e politici degli ultimi trent’anni, studiandone le pratiche attraverso cui si propongono di destabilizzare l’ordine sociale, in base anche all’eventuale convinzione di potere o non potere ridefinire i rapporti di forza interni. Dopo il periodo di altissima tensione e conflittualità sociale che hanno caratterizzato gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, infatti, la sinistra extra-parlamentare ha rivalutato la propria effettiva capacità di provocare una rottura degli equilibri sociali e si è dotata di strumenti diversi rispetto alla lotta armata. In questo passaggio non ha negato, tuttavia, la possibilità di esercitare la violenza per contrapporsi al potere politico, adoperando nuove forme di conflittualità. Questi aspetti non possono non essere osservati alla luce non solo dei cambiamenti interni alle organizzazioni politiche, ma anche in relazione alle trasformazioni sociali e culturali. Un altro elemento, certamente non secondario, è l’evoluzione dell’atteggiamento delle istituzioni rispetto ai movimenti e alle loro forme e pratiche. Se da un lato il carattere conflittuale dei movimenti può rappresentare un problema per le istituzioni, raccoglierne le istanze può essere una forma di legittimazione per i partiti politici e un modo per colmare la distanza con la società civile. Di fronte a queste due possibilità il potere adotta strategie diverse: quando le mobilitazioni rappresentano una minaccia per le istituzioni, mettendone in discussione l’esistenza, la natura o l’orientamento politico lo Stato può mettere in atto delle pratiche repressive sul piano giudiziario e dell’ordine pubblico; nei casi in cui i movimenti interpretano il sentimento comune della società intercettando larghe fasce di consenso, invece, le istituzioni possono adottarne le rivendicazioni tentando di riassorbire le proteste. Quest’ultimo scenario potrebbe configurarsi come espressione di un rapporto positivo tra movimenti e potere, ma rappresenta un modo per depotenziare i movimenti stessi, privandoli del loro carattere trasformativo o di rottura. In tal caso si potrebbe parlare di sussunzione della conflittualità sociale, una categoria che Marx utilizza sul piano economico e che pensatori come Negri o Deleuze hanno risignificato sul piano sovrastrutturale dei rapporti sociali e culturali.
Durante i tre anni di ricerca ci si propone, dunque, di affrontare dal punto di vista teorico la questione della violenza come strumento di ridefinizione dei rapporti di forza e la sua applicazione nel rapporto dialettico tra movimenti sociali e politici e istituzioni. In particolar modo si intende ricostruire la storia della sinistra extraparlamentare dagli anni Novanta agli anni pre-covid – dalle cosiddette ‘tute bianche’ ai movimenti di massa come Fridays for Future e Non una di meno - da un lato e le strategie di controllo messe in atto dal potere politico attraverso repressione e sussunzione.