Dario FILIPPI
CV
Nel 2020 ha conseguito la Laurea Magistrale in Storia e Civiltà presso l’Università di Pisa con votazione 110L/110 presentando una tesi in Storia culturale dal titolo 'Da ministro e da papà. Parole, emozioni e immagini della narrazione neo-nazionalista di Matteo Salvini' volta ad indagare con gli strumenti della storia culturale le formazioni narrative del nazionalismo moderno, relatore Alberto Mario Banti., Nel 2021 cura assieme alla professoressa Marina Riccucci (Unipi) l'edizione critica e commentata dell'opera in versi Istoria dell'assedio di Piombino del 1448, di Agostino degli Agostini. Nel 2022 risulta vincitore di una borsa di ricerca dell'Università di Pisa per lo studio del manoscritto seicentesco Historia della città di Piombino: opera inedita di Pier Domenico Corsi. Ha inoltre pubblicato sulla rivista Documenti e Studi e Rassegna di archeologia.
Tutor
Luca Polese Remaggi
Università di Salerno
Co-tutor
Vinzia Fiorino
Università di Pisa
Progetto di ricerca
Essere a Magliano significa, ridendo, essere matti. Storia del manicomio di Lucca dal 1920 al 1952
Il manicomio di Maggiano nasce per decreto senatorio nel 1776, anno in cui l'aristocratica repubblica lucchese sopprime l'ordine dei frati minori del convento di Fregionaia e legifera di recuperare gli spazi dell'antica abbazia come luogo di cura per gli alienati del carcere, un posto, insomma, ubi insania mentis laborat, come ancor oggi recita la targa all'ingresso dello stabile. Una storia che si concluderà molti anni dopo, nel 1978 con l'approvazione della legge 180 – detta legge Orsini, o meglio nota come “legge Basaglia”. Eppure, di questi duecento e più anni di storia – il manicomio chiuderà definitivamente solo nel 1999- la storiografia ne ha ricostruiti solo una piccolissima parte (1800-1809 e 1958-1968). Questo progetto di dottorato si propone di studiare e ricostruire, in special modo attraverso le cartelle cliniche, i tre decenni cruciali di storia manicomiale che vanno dai primi anni venti del XX secolo fino all'immediato secondo dopoguerra, anni, questi, nei quali, come dirà lo stesso Giovanni Battista Giordano, ex direttore dell’istituto (1954-56), gli «eventi avversarono in tutta Italia l’evoluzione dell’assistenza psichiatrica per la sopravvalutazione legale del criterio della “pericolosità per sé e per gli altri” dei ricoverati» (G.B. G, 1991). Il progetto si articola su tre principali indirizzi di ricerca: 1-Storicizzazione e descrizione della malattia mentale nelle cartelle cliniche. Se i criteri discretivi tra i sani e i pazzi sono elementi culturali storicamente destrutturabili - parole, concetti e modelli sociali- allora la pazzia nella storia non è mai uguale a se stessa, ma è un elemento in continuo mutamento, che si modella sul rapporto che le comunità stabiliscono con la malattia mentale sulla base di certi valori: le leggi quadro Zanardelli (1904) e Rocco (1930), stabilendo come prioritaria la lotta alla pericolosità sociale e al pubblico scandalo, sanciscono la natura repressiva degli internamenti. I modelli sanitari che ne conseguono, incentrati su predisposizione e degenerazione, si servono di macro-categorie – depressione, schizofrenia, isteria – che, sussumendo la maggior parte dei casi clinici, imprimono al manicomio i lineamenti di un'istituzione di massa. Categorie peraltro sensibili ad influenze ideologiche e morali che seguono faglie di genere e di classe. Esiste una codificazione sessuale e sociale del ‘pazzo’ che emerge dalle penne dei dottori nei diari clinici e che portano agli internamenti. Studiare le cartelle cliniche vuol dire, allora, studiare alla radice il fenomeno dell’internamento psichiatrico, il valore e il senso dell'istituizione manicomiale nell’Italia della prima metà del XX secolo. 2-Fascismo e psichiatria a Maggiano. Il regime fascista utilizza i manicomi per allontanare dalla società soggetti borderline, disturbati e colpevoli di malattie ‘etiche’ (alcolismo, sifilide e tubercolosi). Le malattie ‘etiche’, pur involontarie, sono epifenomeno di una pericolosità sociale potenzialmente e pericolosamente antifascista e antinazionale: “fare degli uomini inutili elementi produttivi” è il motto che guida la psichiatria fascista che assume l’igiene mentale quale miglior mezzo per raggiungere una razza sana. Le cartelle cliniche di Maggiano consentono di analizzare gli elementi costitutivi della pericolosità sociale e il mondo della marginalità- in una zona prevalentemente agricola e mineraria - e come podestà, pretori, tribunali e commissari istruissero la repressione manicomiale. Non è un caso, allora, che il manicomio di Maggiano conosca anche il fenomeno dell’internamento politico. 3-Il manicomio e la Seconda guerra mondiale. Durante l’ultimo conflitto mondiale il manicomio è stato rifugio per molta gente del luogo e non solo. A bussare alle porte del manicomio ritroviamo i protagonisti di un mondo in guerra: sbandati, fuggiaschi, resistenti e affamati. Sono molti gli indigenti che arrivano in manicomio «non avendo più stabilità in casa per l’azione bellica» o per fame oppure per «alterazione emozionale per vicende di guerra» o, ancora, per terrore di essere catturati e morire: «[poiché] i tedeschi cominciarono a uccidere per le strade questi familiari la portarono in manicomio». Ma, al pari dei civili, ad essere investiti dalla tragedia della guerra sono i militari al fronte. Se la maggior parte dei lavori sulle psicosi di guerra si concentrano sulla Grande Guerra il fenomeno abbraccia tuttavia anche il secondo conflitto: a Maggiano, nel 1946, vengono internati decine di militari italiani rimpatriati dai campi di prigionia. Insomma, il manicomio è un filtro molto particolare attraverso il quale guardare la guerra e indagare la vita che, carsicamente, le sopravvive.