Camilla ZUCCHI

CV

È dottoranda in Digital Public History. Ha conseguito con lode la laurea triennale in Lettere all'Università di Pisa nel 2015 in Lettere antiche discutendo una tesi in storia romana dal titolo "Dei e miti dell'antico Egitto in Diodoro e Plutarco". Nel 2018, poi, si è laureata di nuovo con lode alla magistrale in Filologia, letteratura e tradizione classica all'Università di Bologna, occupandosi di un argomento inerente alla tragedia greca. La tesi, in filologia greco-latina, titolava "Un problema storico: possiamo datare l'Edipo Re di Sofocle?". Nel 2021, infine, ottiene una laurea magistrale in Informatica Umanistica all'Università di Pisa con una tesi in Digital Public History dal titolo "La toponomastica femminile tra retaggi del passato e sfide del presente", che viene premiata con il massimo dei voti e la lode. Nel 2020 ha pubblicato un articolo per la rivista Umanistica Digitale dal titolo "Mappe di memoria: gli anni di piombo". Dal novembre 2021 fa parte del comitato di redazione della rivista Documenti e studi.

 

Tutor

Marcello Ravveduto
Università di Salerno

 

Co-tutor

Progetto di ricerca

Atlante digitale delle vittime della nazione

Quali martiri della libertà, quali caduti e quali vittime popolano le città d’Italia sotto forma di monumenti o di targhe viarie?
Da questa domanda muove la mia tesi di dottorato, che coniuga la ricerca archivistica con l’uso e l’analisi di fonti digitali per condurre allo sviluppo di un atlante digitale.
Utilizzando la capitale come caso emblematico per osservare da vicino i principali passaggi politici che si sono inevitabilmente riversati nel cambio o nell’integrazione di targhe viarie e monumenti in varie parti della città, si intende ricostruire e argomentare sulla scorta della storiografia quali nomi abbiano maggiormente influenzato la memoria collettiva. Tenendo ben a mente che avere spazio nella capitale di uno Stato da poco unificato era un privilegio non accessibile a tutti, si è scoperto, per esempio, che le leggi che ancora oggi normano gli ambiti della monumentalistica e della toponomastica sono state elaborate da politici che erano stati anche assessori comunali capitolini negli anni Venti. A tal fine, gli archivi frequentati sono stati: l’archivio dell’ufficio toponomastica di Roma, l’Archivio Centrale dello Stato, l’Archivio Storico Capitolino, l’Archivio della Camera e del Senato, oltre a qualche archivio locale di altre città. La tendenza rilevata è quella all’accelerazione: se durante il Risorgimento l’ambito urbano iniziava a essere condiviso o spartito dalle varie glorie nazionali a mo’ di statue, è a partire dal 1915-1918 che le richieste di ricordo si fecero numerose e impellenti, non solo a Roma, ma in tutta la Penisola. Dai primi passi compiuti durante il Risorgimento sino alla statuomania di età crispina, il monumento era il mezzo prediletto per dimostrare l’adesione profonda agli ideali di un dato personaggio: basti pensare alla monumentalizzazione del Gianicolo come luogo dell’epopea garibaldina. Resosi, poi, necessario il censimento della popolazione, si scoprì la toponomastica come metodo facile e economico per rendere onore e perpetuare il ricordo degli idoli: così il repubblicano Giuseppe Mazzini ebbe dedicata a Roma una via prima di un monumento, mentre Guglielmo Oberdan ebbe solo un lungotevere e mai una statua, nonostante fosse partito l’iter poco dopo la sua morte. Durante e dopo la seconda monumentomania seguita al primo conflitto mondiale in nome di tutti caduti e del lutto collettivo, l’estrema duttilità delle intitolazioni stradali andava radicalmente mutando il panorama urbano, a tal punto da causare l’intervento legislativo dell’allora ministro Giovanni Gentile e del senatore Corrado Ricci. Il fascismo, nondimeno, battezzò le principali vie dei centri urbani con i nomi dei suoi martiri, dei suoi eroi, ricorrendo alle deroghe previste dalle leggi, le stesse che, tra 1944 e 1945, permisero di cancellarne le tracce: a Roma, per esempio, Viale dei Martiri Fascisti fu rinominato Viale Bruno Buozzi, così come Ponte Littorio fu modificato in Ponte Giacomo Matteotti. Non è raro, inoltre, trovare dei monumenti risemantizzati, dove accanto ai caduti della Prima guerra mondiale sono stati aggiunti anche quelli della Seconda o di tutte le guerre.

Dopo il miracolo economico e la conseguente espansione delle città, comparvero nuove vie da intitolare: in quegli anni, l’affacciarsi di una coscienza in relazione alla memoria della Shoah, e in particolare della figura del testimone, e il concomitante o successivo aumento delle stragi di mafia e terrorismo, misto al lento declino del paradigma antifascista, determinarono una svolta verso il risarcimento delle vittime, spesso a mezzo toponomastico. La memoria di riferimento divenne quella delle vittime: aveva smesso di essere quella degli eroi. Di questo fu complice la politica, che, soprattutto dopo la crisi della Prima Repubblica all’inizio degli anni ’90 e come risposta alla crisi stessa, aveva virato verso un tentativo di pacificazione nazionale, culminato, poi, nelle leggi memoriali.

L’atlante che accompagna la tesi mira a restituire un’immagine delle tracce materiali rimaste di questi passaggi d’epoca: verrà programmato sulla base dei dati in possesso della piattaforma open source di collaborative mapping OpenStreetMap. Sarà diviso per cronologia e consterà di tante mappe georeferenziate quante sono le epoche di riferimento: Risorgimento, Prima Guerra Mondiale, fascismo, Prima Repubblica, Seconda Repubblica.

L’intento è quello di fornire alla comunità scientifica uno strumento attendibile, in grado di dare uno spaccato sulla stratificazione di eroi, martiri, caduti e vittime all’interno della dimensione cittadina. E, infine, di rispondere alle domande: Quale epoca ha maggiormente mutato il panorama dei comuni italiani? Quali martiri, quali caduti e quali vittime ritornano di più nei nostri indirizzi o nei monumenti?

Si tenterà, così, di far dialogare le diverse correnti storiografiche che hanno affrontato il tema della religione civile italiana: tra le molte, le ricerche di Alberto Mario Banti e Roberto Balzani relative al Risorgimento, di George L. Mosse, Emilio Gentile e Renato Moro sulla religione politica del fascismo, di Filippo Focardi, Giovanni De Luna e Marcello Ravveduto sul passaggio dalla dimensione eroica al paradigma vittimario.